Emozioni: quali sono?

La scienza della psicologia ancora non è riuscita a fare un elenco definitivo di quali sono le emozioni. Tuttavia, una grande varietà di studi su questo tema può essere riassunta in tre modi di descrivere le emozioni: l’approccio categoriale, quello dimensionale, quello prototipico.

L’approccio categoriale – Inside OUT

Il primo, l’approccio categoriale, è alla base del film Inside Out della Pixar del 2015 e si basa sui concetti di emozioni di base e di emozioni complesse (Ekman, 1992; Izard, 1991; Oatley, 1992; Plutchik, 1994).

Le emozioni di base, o primarie hanno una determinata funzione di sopravvivenza per l’individuo, sono riscontrabili in tutte le culture, appaiono presto nello sviluppo, sono associate a particolari pattern di modificazioni fisiologiche, possono essere distinte nei primati e sono contraddistinte da particolari espressioni facciali. Le emozioni secondarie o complesse, invece, sono una mescolanza di quelle di base (Plutchik, 1994) e derivano da particolari elaborazioni cognitive delle prime (Oatley, 1992).

Un punto critico dell’approccio categoriale è che ogni studioso che ha cercato di individuare le emozioni di base ha proposto un suo elenco, diverso da quello di tutti gli altri. Nonostante ciò, diversi studiosi delle emozioni citano almeno cinque emozioni di base: la gioia, la tristezza, la rabbia, la paura e il disgusto, le stesse scelte come protagoniste in Inside Out. Una curiosità a questo proposito è che la Pixar per creare i personaggi delle emozioni ha chiesto la supervisione di Ekman e di Keltner, due dei maggiori studiosi a livello mondiale delle emozioni. In Inside Out ogni dettaglio ha una base nella psicologia: rimanendo nel tema delle emozioni di base e complesse, quando Gioia e Tristezza insieme prendono il controllo della console e creano un vissuto di tenerezza (metà giallo e metà blu), si fa riferimento alla teoria delle emozioni complesse di Plutchik del 1994.

emozioni inside out - approccio categoriale

L’approccio dimensionale – Big Hero 6

L’approccio dimensionale, invece, cerca di identificare le emozioni sulla base di un piccolo numero di dimensioni, o caratteristiche, come la valenza, l’attivazione e la potenza (Spencer, 1890; Wundt, 1897; Woodworth, 1938; Schlosberg, 1941).  Il pioniere da cui ha avuto inizio gran parte della ricerca che ha utilizzato questo tipo di approccio è stato Russell (1980) che ha introdotto il modello circomplesso. Secondo l’autore le emozioni definite dal linguaggio possono essere disposte su uno spazio definibile da tre dimensioni che sono la piacevolezza, l’arousal (termine col quale si intende l’attivazione fisiologica di un individuo) e la combinazione di piacevolezza ed arousal. Il modello di Russell (1980) mette in luce due importanti caratteristiche delle emozioni. La prima è che queste variano nel loro grado di similarità e la seconda è che alcune emozioni possono essere considerate come bipolari (ad esempio felice, triste). Gli approcci dimensionali sono stati utilizzati nella ricerca per evidenziare le modificazioni graduali delle emozioni presenti, ad esempio, durante l’ascolto di un brano musicale. Questo approccio è utile per insegnare a notare e a descrivere l’intensità dell’emozione provata. Un altro film d’animazione della Pixar, Big Hero 6 del 2014, fa riferimento all’approccio dimensionale nel momento in cui Baymax, il robot bianco che fa da assistente sanitario al protagonista Hero, chiede l’intensità del dolore percepito in una scala da 1 a 10.

emozioni baymax approccio dimensionale

L’approccio prototipico

Il terzo approccio è chiamato prototipico ed è basato sull’idea che il linguaggio mostra come le persone concettualizzano e categorizzano le informazioni, teoria proposta da Rosch nel 1978. Un concetto prototipico è un’immagine astratta che combina le caratteristiche più rappresentative di una categoria e serve come punto di riferimento cognitivo rispetto al quale gli altri elementi vengono categorizzati. Ad esempio il pastore tedesco è più vicino all’immagine prototipica di cane rispetto ad un bassotto. Così nell’approccio prototipico esistono emozioni come la gioia o la tristezza più rappresentative della categoria delle emozioni, rispetto ad altre, come la gelosia. L’approccio prototipico è un compromesso tra l’approccio dimensionale e quello categoriale. Un esempio di struttura prototipica delle emozioni è mostrata nella figura 2 (Shaver, 1987).

La dimensione verticale della struttura mette in luce l’organizzazione gerarchica delle categorie. Il livello più generale è quello superordinato e definisce la valenza positiva o negativa delle categorie subordinate ad esso. Il livello medio è quello prototipico nel quale sono presenti le emozioni più rappresentative, e alla fine c’è il livello subordinato che contiene le emozioni legate ad un particolare prototipo. La dimensione orizzontale mette invece in luce le relazioni esistenti tra i membri della stessa categoria prototipica (Shaver e altri, 1987).

Anche questo modello è utile nella psicologia clinica: insegnare a descrivere con termini di livello gerarchicamente sempre più basso e accurato le diverse emozioni sarebbe alla base della capacità di rappresentare i propri stati interni e poterli guardare con maggiore distanza, per non esserne sopraffatti (Vedi esercizio Etichettare le emozioni di Germer, 2009). Il training rivolto a questo scopo insegna al paziente a etichettare inizialmente il proprio stato interno con una emozione prototipica come “rabbia“, poi lo invita a distinguere le diverse sfumature della rabbia, come il fastidio, l’ira, l’ostilità e così via. Questo processo linguistico promuove lo sviluppo della consapevolezza, intesa come capacità di integrare tra loro più informazioni provenienti da canali sensoriali diversi e metterle in relazione con informazioni contestuali di tipo temporale, gerarchico, causale, ecc.

Un’altra attenzione linguistica utile quando si lavora con le emozioni è non etichettarle come buone e cattive o positive e negative, per non sviluppare la falsa credenza che sperimentare alcune emozioni sia “male“ e che di conseguenza siano da evitare. Le emozioni, invece, per definizione sono tutte adattive e di conseguenza utili per la sopravvivenza (nell’ambiente fisico e sociale). Alla base di molti disagi psicologici c’è la seguente catena di derivazioni logiche: “X è un’emozione negativa, chi prova X non è OK, io provo X quindi non sono OK, per essere OK non devo provare X“ (Ciarrochi, 2014). Per interrompere questa catena “logica“ ed estremamente dannosa, è importante validare l’emozione provata, qualunque essa sia, descrivendola e dandole un nome.

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